Religiose


COMUNITÀ FIGLIE DI SAN GIUSEPPE DI GENONI

 

  • Suor NOLLY JOSE KUNNATH (Madre Superiora)
  • Suor MARIANNA AGUS
  • Suor MARIA MICHELLE ILUMBE YALOKO

 

 


CARISMA

Nel mondo con il cuore di Dio, incarnazione della sua infinita compassione per l’uomo.

Voi dovete considerarvi come chiamate dal Signore ad amarlo con tale fervore, a servirlo con tale spirito di carità, da essergli care in modo speciale, ed avere così udienza al suo cospetto per ottenere grazie abbondanti per la conversione dei peccatori e per la salvezza delle anime” (Ven. Padre Felice Prinetti).

Fondamento del Carisma è la relazione interiore con Dio, presente nella consacrata in forza della grazia santificante ricevuta con il sacramento del Battesimo, come creatore, redentore e sposo. Una relazione totalizzante per cui la Figlia di San Giuseppe è di Dio, sempre di Dio, tutta di Dio. Un’appartenenza esclusiva che mentre le permette di attingere alla sorgente dell’amore di Dio, apre il cuore ai bisogni dei fratelli e del mondo.

Oh! Quanto deve fare compassione un’anima in peccato! Pensate che è tanta la sua infelicità che Dio stesso, oltraggiato dal peccato, tuttavia ne ha compassione infinita. E per questa compassione che ne sente, mandò già il suo divin Figlio a patire e a morire su una croce per salvare i peccatori; per questa divina compassione si continua ad offrire Gesù Cristo vittima sull’altare; per questa compassione è istituita la Chiesa a suscitare ministri della Chiesa che continuino l’opera di Gesù Cristo. Ed è anche questa compassione divina verso i peccatori che dà la vocazione ad alcune anime elette di consacrarsi a servire Dio con una vita di imitazione più perfetta di Gesù Cristo, per entrare con la preghiera e con le buone opere nelle sacre piaghe di Gesù, e farne piovere in abbondanza sulle anime il preziosissimo sangue per la loro conversione e salute” (Ven. P. F. Prinetti).

Il Padre Fondatore chiede alle Figlie di San Giuseppe di sintonizzare la propria vita di consacrate sulla lunghezza d’onda della infinita misericordia di Dio. Anima del carisma è l’infinita compassione divina per ogni uomo. Luogo di attuazione del carisma sono le piaghe di Cristo presente e vivo nelle piaghe dell’uomo. Le Figlie di San Giuseppe, come il Samaritano, sono chiamate a farsi carico e a curare le sofferenze umane, entrando nelle piaghe che oggi affliggono l’uomo, incarnando con un servizio d’amore, l’infinita compassione di Dio e il suo amore immenso per tutti, tenendo cuore e porte aperte a qualsiasi bisogno ci sia nel mondo.


SPIRITUALITÀ

La spiritualità delle Figlie di San Giuseppe è Cristocentrica, Mariana e Giuseppina. Nella scelta del nome: “Figlie di San Giuseppe”, il Padre Fondatore Ven. P. F. Prinetti ha voluto indicare i tratti della spiritualità dell’Istituto. Come i figli ricevono l’eredità del padre e in termini di identità personale e sociale rappresentano la continuità di una stirpe, le Figlie di san Giuseppe ricevono in eredità da loro Padre San Giuseppe il suo modo di essere e di vivere che costituiscono i tratti della spiritualità dell’Istituto.

Io desidero che vi ricordiate che San Giuseppe è vostro modello nel servire Gesù e Maria, e li servì nel silenzio, nella preghiera e nel lavoro. Il mondo doveva ignorare il grande mistero finché Gesù fosse uscito a predicare: e San Giuseppe tace, e vive oscuro e ignorato nella sua bottega. Ma era con Gesù e Maria! E viveva unito a Dio con la più continua preghiera, quasi dimenticando la terra per quel nuovo paradiso” (Ven. P. F. Prinetti).

Una spiritualità, come quella di San Giuseppe che vive intimamente unito a Gesù e a Maria, caratterizzata dalla fede, dal silenzio, dalla preghiera, dall’umiltà, dal nascondimento, dal lavoro che si fa servizio, espressione di una forte e profonda relazione d’amore. Una spiritualità che vive dentro una relazione d’amore, profonda e coinvolgente, dinamica e costruttiva, che mentre riempie anima e cuore, rende attivi, creativi, generosi.

Una spiritualità che non ha bisogno di esteriorità, perché nella relazione con Gesù e Maria si sperimenta che l’amore è premio a sé stesso e appaga ogni umano desiderio. Una spiritualità che si nutre di tranquilla confidenza nel Signore e vive nella santa allegrezza. Una spiritualità che rende felici, capace di fare della vita un nuovo paradiso, perché l’amore di Dio e per Dio, amato nei fratelli e nelle sorelle che ci fa incontrare, soddisfa ogni desiderio.


SERVIZIO

La spiritualità delle Figlie di san Giuseppe ha il suo spazio di attuazione nel servizio, reso allo stesso modo con cui San Giuseppe servi Gesù e Maria. Il Padre Fondatore chiede che il servizio sia un servizio d’amore, perché dice solo il servizio d’amore è degno di Dio ed è l’unico che Gli dà gloria. Un servizio che nasce dal desiderio di rispondere all’amore con l’amore, che si alimenta del rapporto filiale con il Padre e come Gesù sceglie che sempre si compia la sua volontà.

Un servizio come risposta libera alla vocazione santa a cui il Signore chiama, reso con la stessa sincerità di cuore con cui Maria pronunciò il suo: «eccomi sono la serva del Signore si compia in me la tua parola». Un servizio in cui trova la sua piena realizzazione la femminilità consacrata, con l’impiego di tutte le energie umane e spirituali di cui si dispone. Un servizio che fa della vita un’esperienza d’amore piena e totalizzante.


 

Note biografiche del Venerabile Servo di Dio Padre Felice Prinetti

LA FAMIGLIA PRINETTI

Della famiglia Prinetti nel periodo che va dal 1842 al 1916, non si hanno molte notizie. Dai registri cartacei parrocchiali, che una volta erano i veri e praticamente unici archivi, sappiamo che Serafina Pedevilla e Francesco Prinetti, madre e padre di Padre Prinetti, figurano entrambi di professione benestanti, un modo comune per affermare che i due vivevano di rendita. Sappiamo che la famiglia Prinetti era cattolica osservante e praticante, di una religiosità austera influenzata dal clima del cattolicesimo tutto d’un pezzo che si respirava in quelle zone vicine alla Francia e alle zone valdesi, quello che Rino Camilleri, nella sua biografia chiama cattolicesimo di frontiera, che aveva resistito all’assalto del calvinismo prima e del giansenismo poi e, infine, a quello dei lumi. Ebbero sei figli: Paolo, Luigia, Felice, Girolamo, Giacomo e Maria Francesca.

L’INFANZIA E LA GIOVINEZZA DI FELICE PRINETTI

Padre Felice Prinetti, nasce a Voghera il 14 maggio 1842, è battezzato il giorno seguente nella Collegiata di San Lorenzo Martire e chiamato oltre che col nome di Carlo Felice, probabilmente in onore del Sovrano del Regno di Sardegna, terra questa che segnerà la sua vita di donazione totale al Signore, anche con quelli di Francesco, Pasquale e Alfonso Maria. A dieci anni Carlo Felice ricevette il sacramento della Cresima, anche se nulla si sa della sua Prima Comunione. Aveva grandi doti e intelligenza che, unite a una forte serietà negli impegni, lo resero un bravo studente. La scuola, in generale, era molto seria e dura, un metodo educativo molto distante dal nostro, con i suoi vantaggi e svantaggi, anche se tra i primi rientra certamente una formazione molto seria e accurata fin dalle elementari. Felice ne uscì brillantemente nel 1852, con voti ottimi e una forte predisposizione per la storia, il cui amore lo accompagnerà per sempre. Fu inviato per gli studi superiori nella capitale di allora, la bella Torino, seguiva i corsi di retorica e di filosofia nel Collegio Nazionale e nel 1857 partecipò al concorso per un posto nel prestigioso Regio Collegio Carlo Alberto, che accoglieva gli studenti delle Provincie, anche se in quell’occasione non ce la fece. L’anno successivo, ci riprovò e fu ammesso tra i primi in graduatoria. Dopo gli studi superiori, come per tanti giovani anche del nostro tempo, arriva il momento dell’Università e Felice, che vi approda appena sedicenne e che da sempre aveva avuto grande propensione per le cosiddette scienze esatte, decide di iscriversi alla Facoltà di Matematica della Regia Università di Torino.

LA CARRIERA MILITARE

Felice, obbedì all’invito del Re Vittorio Emmanuele che in Parlamento aveva dichiarato: «non siamo insensibili al grido di dolore che da tante parti d’Italia si leva verso di noi» e si arruolò nell’esercito piemontese. La situazione politica era in subbuglio e nonostante il Ministero della Pubblica Istruzione emanasse richiami per cercare di far rimanere gli studenti nelle università a continuare i loro studi, venivano in altro modo esortati a entrare nella Regia Accademia Militare e tra i tanti che fecero quel passo, vi fu anche Felice Prinetti. Era il 23 marzo del 1860. Il 17 marzo di quell’anno si arruolò volontario nell’esercito del Re di Sardegna. Nel marzo del 1861 era già sottotenente. Il 21 aprile 1862 fu nominato luogotenente di Artiglieria e venne assegnato al 9° Reggimento e nel 1865 fu trasferito al 1°, il più prestigioso. Nel 1866, distinguendosi per atti di non comune valore, a ventiquattro anni ebbe sul campo di battaglia della guerra d’indipendenza, la promozione a capitano d’Artiglieria. Il 9 settembre del 1870 mentre il suo reggimento si spostava a Pavia, i suoi superiori affidarono al Capitano Prinetti, un incarico di maggiore prestigio, anche se gli venne tolto il lavoro sul campo. Lo chiamarono, infatti, allo Stato Maggiore con compiti burocratici nel Ministero di Guerra in qualità di Segretario della Commissione per le invenzioni di guerra e poi lo nominarono Direttore del Regio Polverificio di Savigliano, e successivamente, di quello di Fossano vicino Cuneo.

CHIAMATO A COMBATTERE NELL’ESERCITO DI DIO

Il capitano Prinetti era un cristiano tutto d’un pezzo, non v’era motivo per lui che le ragioni della patria venissero viste e strumentalizzate contro la fede. La sua vita di ufficiale era stata brillante. Le testimonianze sono unanimi nell’esaltare la coerenza di vita del giovane capitano, la sua dirittura morale, il suo impegno di soldato, le sue virtù. Un giorno, a Torino, il Capitano Prinetti si trovava a seguire una processione religiosa e si distingueva per il suo abito da ufficiale col suo rosario in mano. Naturalmente non era un tipo che passava inosservato e si dice che fu notato da un suo collega, che mal digerì la cosa. Quando il Prinetti rientrò in caserma, il collega lo investì in malo modo rimproverandogli di aver disonorato la divisa con l’unirsi ad una processione religiosa. Il Prinetti rispose che non aveva nulla di cui vergognarsi e che il suo onore di soldato era testimoniato dalla sua carriera. Vedendo la reazione del capitano, il collega lo  sfidò a duello davanti a testimoni, in quel tempo gli ufficiali non potevano rinunciare a un duello, pena il disonore, la macchia più grande per un soldato dell’Ottocento. La Chiesa, che era certamente più saggia, aveva vietato il duello ai cattolici, pena la scomunica. Fu a causa della sua fedeltà all’insegnamento della Chiesa e per non tradire i comandamenti di Dio che Padre Prinetti accetta di perdere tutto. Il 27 novembre del 1873 all’ètà di trentuno anni Felice Prinetti si congeda dall’esercito.

L’INTERCESSIONE DI SAN GIUSEPPE

Da tempo il suo fratello minore, don Giacomo, chiedeva a Dio ogni anno una grazia avvalendosi dell’intercessione di San Giuseppe. Lo stesso don Giacomo rivela questo suo ricorrere annuale a San Giuseppe con la richiesta di qualcosa di molto notevole. Puntualmente veniva esaudito. Crebbe così di anno in anno la sua fiducia in San Giuseppe, nel chiedere cose umanamente difficili. Forse per aver notato nel suo fratello segni di un diverso orientamento, don Giacomo pensò di chiedere a San Giuseppe che suo fratello Felice divenisse sacerdote. E anche questa volta venne esaudito. Il Padre Felice un giorno gli scrive per annunciare la decisione di abbracciare lo stato ecclesiastico. Il fatto non restò nell’ambito ristretto della famiglia. Il Beato don Luigi Orione lo citò in una conferenza ai suoi per esortarli a ricorrere con fiducia a San Giuseppe.

LA NASCITA DELLE FIGLIE DI SAN GIUSEPPE

Quando il Padre Prinetti ebbe l’incarico di Rettore del Seminario, al servizio della cucina e del guardaroba trovò le suore cottolenghine. Queste, dopo anni di lodevole dedizione, furono richiamate in Casa Madre a Torino, e il Rettore dovette pensare al come sostituirle. Fu il momento in cui Dio gli ispirò di riunire una famiglia spirituale di donne generose, che accettassero di consacrarsi al servizio del Signore e della Chiesa. La prima pietra di quest’opera l’aveva in mano da qualche anno: era Eugenia Montixi di Isili, ma residente a Cagliari presso le Figlie della Carità nell’Asilo della Marina del quartiere Stampace. Eugenia Motixi, era rimasta vedova dopo un anno dopo il suo matrimonio, era ormai avviata dal Padre Prinetti ad una vita spirituale impegnata. Essa accettò la responsabilità dell’autorità immediata sul primo gruppo che ebbe dal Padre il nome di Figlie di San Giuseppe. Così egli forse volle onorare San Giuseppe per ringraziarlo del dono della vocazione. Piena approvazione ebbe dal suo Arcivescovo Mons. Vincenzo Gregorio Berchialla. Così la Congregazione nasce il 20 settembre del 1888. Tre mesi dopo, il 20 dicembre esse incominciarono il loro servizio nel seminario. Erano in sette. Evangelico era il clima spirituale in cui la famiglia Giuseppina viveva in suoi primi giorni di vita: servizio a tempo pieno col solo pane quotidiano, umiltà incarnata nel nascondimento assoluto del seminterrato del seminario, fervore nel sacrificio, carità fraterna ad amor di Dio tradotti in sereno sorriso e nella fatica spossante.