VEDERE PER CURARE,
ACCOMPAGNARE PER AMARE
sabato 18 marzo 2017
Aula Magna del Pontificio Seminario Regionale Sardo del “Sacro Cuore di Gesù’”
Via Mons. Parraguez, 19 – Cagliari
Programma completo
FOTO
Organizzato da:
- Pontificio Seminario Regionale Sardo del “Sacro Cuore di Gesù”
- Fondazione “Il Cuore in una Goccia ONLUS, SCUOLA ITINERANTE A.I.G.O.C. (Associazione Italiana Ginecologi Ostetrici Cattolici)”.
- Università Cattolica del Sacro Cuore – Roma – Fondazione Policlinico Gemelli.
RAZIONALE DEL CONVEGNO del 18 marzo 2017
La terapia fetale nasce con l’avvento della medicina fetale 40 anni fa. In tutto il mondo le tecniche ultrasonografiche sono diventate elemento basilare per guidare approcci invasivi verso un compartimento fetale e apportare una serie di atti diagnostici e terapeutici finalizzati a trattare il feto come un paziente a tutti gli effetti. I successi ottenuti nel Centro di Diagnosi e Terapia Fetale del Gemelli attuando la cosiddetta terapia fetale integrata, dimostrano che anche in gravi patologie feto-neonatali, ci sono possibilità di intervento per ridonare capacità gestazionale a tutte quelle famiglie gravate da una diagnosi infausta. L’Hospice Perinatale ha un impatto culturale fra due modi di pensiero antropologicamente opposti: il primo vive dell’illusione che eliminando il sofferente si possa eliminare la sofferenza, il secondo invece nel rispetto più totale della preziosità della vita umana , senza guardare alle dimensioni dell’essere umano ma solamente al suo valore, cerca di prevenire le malattie, cerca di curarle, cerca di limitare i danni fisici e psicologici del malato e delle famiglie, cerca di lenire la sofferenza fisica e psicologica, forte dell’assunzione di tre metodologie per affrontare la sofferenza umana: I prevent, I cure, I relief (prevenire, curare, lenire il dolore). Ma tutto questo esprime il concetto della solidarietà umana, della medicina condivisa, e si traduce in un’unica espressione: I care (mi predo cura di te). Il quadro generale ha segnato quindi un passaggio che nella medicina fetale è diventato una eccellenza etica della nostra istituzione: l’Hospice Perinatale non è un luogo ma è un modo di curare il feto e il neonato. Anche nelle condizioni patologiche più estreme si può dare speranza di prevenzione, cura e sollievo del dolore accompagnando non solo il feto con tutto l’approccio scientifico e clinico ma anche le famiglie. E’ questo il vero fondamento della medicina della speranza.
La Comunità del Pontificio Seminario Regionale Sardo ha desiderato cogliere la disponibilità del Prof. Giuseppe Noia e dei suoi collaboratori per far vivere ai seminaristi e a tutti coloro che lo desiderano, un momento di coscientizzazione su alcune problematiche legate alla vita nascente e alle possibilità terapeutiche e di accompagnamento dei contesti familiari nei quali si verificano diagnosi infauste del feto nel tempo della gravidanza.
Scienza e carità si uniscono in una solida alleanza a favore della vita.
PER PSRS
RETTORE
Don Antonio Mura
Sabato 18 marzo si è tenuto presso il Pontificio Seminario Regionale Sardo, un convegno sulla diagnosi prenatale e le varie problematiche ad essa relative, il cui titolo era “Vedere per curare, accompagnare per amare”. Grazie alla collaborazione della fondazione “Il Cuore in una Goccia” ONLUS, all’Associazione italiana Ginecologi e Ostetrici Cattolici e l’Università Cattolica di Roma, i seminaristi e tutti coloro che ad essi si sono uniti, hanno avuto modo di vivere un momento in cui prendere coscienza di quei provlemi che riguardano la vita nascente.
Il primo ad intervenire è stato il prof. Giuseppe Noia, Direttore dell’Hospice Perinatale – Centro per le cure Palliative Prenatali del Policlinico Gemelli di Roma. La sua relazione puntuale e scientifica, nonché fortemente coinvolgente, si è particolarmente concentrata a dimostrare come, grazie allo sviluppo delle tecnologie mediche, sia ora più che mai possibile e urgente trattare il feto come un paziente a tutti gli effetti. A questo il professore ha dedicato buona parte della sua vita e si è giunti a comprendere che attuando la terapia fetale integrata, anche in gravi patologie feto-neonatali, ci sono forti possibilità di intervento per ridonare capacità gestazionale, a tutte quelle famiglie gravate da una diagnosi infausta. Queste soluzioni partono e al tempo stesso arrivano a ribadire la convinzione per cui la vita umana sia un valore in sé. È tuttavia doveroso prevenire le malattia, cercando di curarla insieme a quelli che possono essere i possibili danni che ne conseguono. In una società sempre più radicata nella terribile ideologia del perfezionismo, secondo la quale eliminato il sofferente si elimina la sofferenza, si capisce che questa è una via che apre alla speranza. Spesso il feto è considerato indegno di venire al mondo e la sua eliminazione appare la via più semplice e pressoché indolore, ma di fatto in questo modo si moltiplicano le vittime: il feto e la madre, che per tutta la vita sentirà gravare su di sé il peso di questa ferita. Il metodo proposto dal Noia allora, risponde alla verità della medicina: prevenire, curare e lenire il dolore, stando accanto alle famiglie prima, durante e dopo la gravidanza.
Il secondo momento della mattinata si è invece caratterizzata per la testimonianza di una giovane coppia di Macomer, Gioia e Marco Uda e con loro il piccolo Giovanni. Giovanni è un bimbo che oggi ha quattro anni di vita e che soffre di idrocefalia, una grave malattia genetica, ma a guardarlo è difficile scorgere i segni di questa sofferenza, perché ben nascosta dal suo splendido sorriso. Eppure c’è stato chi avrebbe preferito che i due giovani genitori scegliessero la via dell’aborto. I genitori Marco e Gioia hanno scelto di essere veramente tali sin dal primo momento e grazie a una fede e una tenacia davvero esemplari, hanno deciso di permettere a Giovanni di vivere. Se si fossero fermati al primo consulto medico qui in Sardegna e non avessero provvidenzialmente incontrato il prof. Noia, certamente non avrebbero avuto modo di farsi portatori di una testimonianza così carica di vita. Non credo opportuno raccontare precisamente la loro esperienza, anche perché non riuscirei a trasmettere quella stessa carica emotiva che i due sanno ben comunicare con grande generosità. Marco e Gioia sono membri di un’associazione, della quale meglio si è parlato nella terza fase del convegno, grazie alla testimonianza del Dott. Massimo e Paola De Lellis, che oltre ad essere due specialisti nel settore medico, sono una “famiglia Cireneo”. All’interno di questa associazione infatti c’è chi porta la croce della malattia del proprio figlio e chi li sostiene in questo percorso, spesso e volentieri già passati per la stessa “Via Crucis”.
È stata, per i seminaristi in particolare, un’occasione d’oro per poter riflettere sul valore della vita e con ragione lo stesso rettore, mons. Antonio Mura, ha sottolineato quanto questa sia stata una mattinata vocazionale, nella quale la nostra attenzione si è volta alla prima di tutte le vocazioni: quella alla vita. Oggi più che mai, credo farebbe bene a tutti passare una mattina di questo genere, così da riscoprire qualcosa di unico e di non nostro, che dobbiamo solo accogliere e tutelare.
Enrico Porcedda